Infrazioni del cuore

Un forte odor di colori, tele ammassate alle pareti, ovunque un’immagine d’altri tempi dello studio del pittore, quasi “antica”, immersa in un’atmosfera alla Dorian Gray; ma poi, bruscamente, il clima ottocentesco si dissolve incrociando quello sguardo, ironico e ambiguo, quegli occhi inquieti, angosciosi he mi fissano dalla carta e accanto, la tavolozza, incrostata di materia, è un groviglio denso, organico, immagine di un segno nervoso, inquieto, affascinante nelle sue esaltazioni, in un’altalena di contrasti tra un costante tentativo di solarità, ed un continuo, angosciante risultato, profondamente vissuto e sofferto, quasi impotente di fronte alla propri solitudine interiore, In quelle mani, in quei piedi così affusolati, lunghi, c’è un desiderio di comunicazione, una spinta ad uscire dalla tela, ed invadere l’esterno, di rivelare un privato così duramente, insistentemente represso negli anfratti della propria memoria, da quei piccoli tocchi, appassionati e mai compiaciuti, che s’inseguono sullo sfondo; una memoria che però rivela, in dettagli quasi impercettibili, una sensibilità ricca di poetica, come nelle dolcezze di una favola non raccontata nella veduta di Pistoia, dove il paesaggio, delicatamente rosato, incantato del fondo, viene improvvisamente scollegato temporalmente da un primo piano ritagliato come un moderno collage.
Voglia di sognare, forse di recuperare un’ingenuità appena vissuta, che invece un pesante interamente cosciente del dolore, della durezza dell’ingovernabilità del proprio essere uomo. E allora la propria angoscia ribelle prende il sopravvento nelle lacerazioni di pelle, quasi scarnificata, che compaiono nei muri attraverso quei mattoni rossi, o come nelle ragnatele, terribilmente organiche, dei cardi quasi carnivori, mentre ricorre, sempre il disperato tentativo di allungamento fuori del quadro verso qualcosa di inafferrabile, che come il richiamo irresistibile della sirena, spinge a non fermarsi li, ma ad andare sempre, inesorabilmente avanti, quasi senza meta, in un vagabondare di emozioni eternamente contrastanti. La dialettica tra l’interno e l’esterno avviene dovunque, anche nelle pieghe della camicia di Giuseppe o nei ritratti di Ida, a volte donna reale, vera, mangiata dalla propria vita, e a volte, suo malgrado, modello antropologico, dove il viso è diventato una maschera primitiva, vertice di un corpo-piramide. L’ambiguità si affaccia prepotentemente nei ritratti di Stefano, culminando nel disegno che ritrae una bambina, inconsapevole prototipo generazionale: corpo di bambina, viso da donna, capelli da nonna.
Questa apparente mancanza di chiarezza in un’epoca massificata dai mass-media, è in realtà la ricerca di un'”io”, non più assoggettato all’obbligo di idee meccaniche, ma legittimato dai propri bisogni individuali come il senso del colore, il linguaggio delle forme, la consapevolezza dello stile, l’intrinsecazione della propria sfera emozionale, nel raggiungimento di un’ideale meta di fusione tra arte e via.
Ora, nella ricerca della simbiosi tra “uomo – anima – natura”, la contemplazione a lungo meditata e ricercata interiormente, trabocca nei muri delle ultime Venezie e del Pontremoli, dove il ricordo di certe emozioni provate all’improvviso, come colpi di fulmine, hanno suggerito alle mani geometrie irrispettose, prospettive irreali, ma assolutamente fedeli a ciò che la mente racchiude: ecco, perché, “infrazioni” del cuore.

Antonia Ciampi

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